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BERGHAIN. No pics inside / Verboten Lights


Niente foto, niente specchi, qui l'immagine é un codice bandito quanto la vista é inutile.
Parla solo il suono in questo relitto fatiscente, incrostato in fondo alla strada che sembra allungarsi in mezzo al nulla.
La corda luminosa dei taxi é un guscio di lucciole, forse aspetta gli avanzi del millepiedi che marcia lentamente in avanti.
Ovvero lontanissimo, nella bocca lattiginosa di quell'entità mitica di cui parlano tutti, con quel nome che ti si spezza nel palato come un rantolo.
Siamo in silenzio, sospesi sul filo della domanda
 
ce la farò ad entrare?
I cerberi alla porta decidono chi far passare o meno, ma nessuno sa come.
Una volta dentro, il silenzio viene risucchiato insieme alle frequenze dei colori, e le pupille devono dilatarsi oltre il fumo.
A parte i laser intermittenti, la consolle e il banco di regia sulla balconata, non c'è altra illuminazione, quindi è piu´che semplice perdersi nel budello di corridoi attorno alla pista.
Sembra di stare in un'opera di Escher.


In questo hangar postbellico la techno emerge e fa vibrare tutti a velocità diverse, come se ognuno seguisse il proprio metronomo interiore.
Dopo le quattro la gente aumenta, e la dancefloor sembra allargarsi come una goccia di petrolio che copre tutto, specie quello che non ti aspetti. 
Nelle dark rooms dietro la consolle intravedo alcuni corpi intrecciarsi, ma non sono sicura.
Fidarsi degli occhi è un errore.
Il tempo passa nascondendosi, la notte si dilata per tre giorni consecutivi lasciando fuori il mondo, il suo linguaggio e le sue logiche.
Si "può tutto" ? Probabile.
Devi scavalcare la vista per capire questo posto. 
Dove restare prigionieri é affascinante come annegare in un enorme, famelico buco nero di suoni.

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