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AUDIO ERGO SUM

 


















Forse la sparizione delle partiture risale all'avvento di reason, cubase, logic.
Chissà qual'è la data esatta. Io immagino sia frutto della digitalizzazione iniziata nel secolo scorso, quel periodo gravido di tecnoentusiasmo in cui iniziammo a poter dire quasi tutto con 0 e 1.
La traccia grafica dei suoni era medium per l'esecuzione, ostacolo all'approccio autodidatta, sbattimento laborioso ma obbligatorio verso la SIAE.
Il pubblico dal canto suo se ne fregava cordialmente, e si vendevano più canzonieri per chitarra che composizioni di Heitor Villa-Lobos, ormai bistrattato dai diplomandi del Conservatorio e per giunta confuso col collega cileno.
Insomma, lo spartito appariva inutile e nascosto come il precoce handicap di Beethoven.
Una volta l'ho sognato. Si masturbava i capelli sconvolti quasi avesse i pidocchi e mi importunava per entrare al Puddhu:

"Piacere, Ludvig. Sono sordo da quando avevo trent'anni e nessuno se n'è ancora accorto.
Limoniamo?"

Magari alla sua epoca i musicisti assomigliavano ai propri spartiti, e leggerne uno equivaleva a trasformare la pagina in mimica, respiro, tic. Era guardarsi diventare suono, carne intermittente. Probabilmente la gente pagava per questo, oppure spiegatemi gli applausi sul sudore fluviale dei trombettisti jazz.
Da quella data incerta, l'anno zero della musica composta - e non riprodotta, beninteso - esclusivamente in digitale, i musicisti hanno cestinato le partiture consci delle critiche di chi li riteneva superflui, esagerando forse in variazioni tonali imprevedibili e ruffiane, come a testimonianza di un ci sono che in cuffia avremmo detto inesistente.
Senza immaginare minimamente cosa sarebbe successo.
Ovvero, che a medium nuovo non sarebbe seguito un pubblico nuovo. Che i nostalgici drogati di autobahn avrebbero fatto ciò che fanno oggi davanti alle performance meno che accademiche, ovvero: guardare.
Sezionare e scomporre movimenti che non legano più gesto e altezza del suono, bensì esercizio e memoria, senza avere nulla a che spartire con lo spartito, vivaddio.
Il punto è che oggi non c'è più niente da vedere, non c'è clavicembalo o tiorba o timpano che vibra guidando gli sguardi.
La musica si riflette nel corpo del musicista sì, ma in maniera minima e solo per lui, che ha esattamente idea di come interagire con l'onda sonora nel monitor, che però noi non vediamo.
Non c'è più nulla di sommerso da rintracciare nelle sue movenze, e l'espressione di ciò che ascoltiamo non si riflette più nel suo corpo, ma nel nostro.
E se restate impalati a guardare lui, sarà come fare la coda alla Standa di sabato pomeriggio.

Quindi chiudete gli occhi, dimenticate di essere a un concerto e voltategli le spalle.
L'onda dolce di quello che sta cercando di dirvi vi sommergerà.

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