Sta sulle palle a tutti, è vero.
Testacoda da autoscontro, flipper di lustrini, urbanistica soffocante, decibel di troppo, afa da Mekong.
Cocktail troppo cari, snobismo gratuito, fighe che non la danno.
E poi vogliono fregarci il Traffic, promosso dalle colonnine di tredicesima agli editoriali in prima pagina, questi pescecani quotati in borsa così diversi dai mecenati d'arte contemporanea.
Milano riscuote ostilità persino nelle righe di Gabriele Ferraris, voce della città descritta su TorinoSette, che non risparmia sferzate polemiche nemmeno durante MITO Settembre Musica.
Perché si tratta di soldi, in fondo, e parlarne di questi tempi è come tentare d'iniettare Geova alle fermate del bus: Milano rappresenta un immaginario più abbiente del nostro, vista la base demografica e il numero di investimenti esteri che attrae ancora oggi. Non solo: può vantare un'ottima percentuale di anglofoni, ed è proiettata verso traiettorie più europeiste delle nostre che spingono i promoter ben oltre i djs e le band da classifica.
Per questo l'ho preferita spesso a Torino, ma parlandone sempre in termini di uscita di sicurezza.
L'ultima volta è stata la notte scorsa.
Simile a un un marito che pretende sigarette dopo la messa pasquale, ho raggiunto Milano come fosse dietro casa, truccandomi in autogrill e cenando al Mc Donald's. All'arrivo ho assistito al solito incantesimo in scatola di hipsters e groupies attirati più dal poterlo raccontare che dal valore effettivo della performance. Gente che chiacchiera pure sugli assoli, quindi omettiamo commenti su vestiari e gestualità visto che è troppo tardi per un antiemetico.
Solo la musica può condurre a questo, pensavo guardando chi contrattava la propria fatica coi bagarini assedianti l'Alcatraz. Mesi fa ero tra loro, ma un colpo di fortuna mi salvò dal tornare a casa digiuna.
Ieri notte ero lì per imbalsamare il ricordo della città che credevo di conoscere, livida e ingombra di macerie dismesse, molto diversa dalla Milano da bere.
Infatti come ogni torinese ha imparato a fare, non ho notato la spocchia del pubblico, né il tiro incerto della scaletta o l'intolleranza di coloro a cui è toccato il mio fumo passivo, no.
Ho sorriso e ballato come un pellegrino illuminato, un galeotto rilasciato per buona condotta, finalmente libera dai testacoda luogo-ricordo che spesso rovinano i resoconti del giorno dopo.
Alcatraz • Via Valtellina 25 • Milano
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